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Omaggio a David Bowie

David Bowie ha attraversato, a volte in maniera diretta, a volte meno, il mondo del cinema nell’arco di almeno 30 anni. Come scrive Roberto Di Vanni in Velvet Overground (nel booklet del dvd di David Bowie – Sound & Vision di Rick Hull – Raro Video) “La  capacità decisiva di Bowie è sempre stata quella di trasformarsi senza rinnegare, di assimilare senza farsi marchiare a fuoco, in definitiva di essere stato uno spirito conciliatore  che ha saputo far sì che le opposizioni non venissero percepite in senso contraddittorio, e questo su differenti scale: all’interno di uno stesso album […] , tra un album ed il successivo […],  tra un genere artistico e l’altro.”  Il suo interesse per il cinema e l’interesse del cinema per lui, in questo senso, si spiegano facilmente, anche se la prima grande interpretazione cinematografica di Bowie avviene relativamente tardi, quando la sua carriera era già ai piani alti, e Bowie era già il Duca Bianco che faceva impazzire le folle mondiali. Il film è un cult, L’uomo che cadde sulla terra (The Man Who Fell to Earth) del 1976 di Nicolas Roeg (A venezia un Dicembre rosso shocking, Il lenzuolo viola, Castaway- La ragazza venerdì), tratto dall’omonimo romanzo di fantascienza di Walter Travis, che lo ha scelto per il ruolo di protagonista, giocando facile: Bowie veste i panni di un alieno arrivato sulla Terra per cercare l’acqua con cui rivitalizzare il proprio pianeta e che invece di salvarsi si danna ai vizi terreni diventando il proprietario di un impero industriale. E’ un ruolo più che adatto alla rockstar, che sull’immagine di extraterrestre piombato dallo spazio aveva giocato fin dai tempi di Space Oddity, ed il risultato è eccellente: Bowie svela le sue doti attoriali che da lì in avanti saranno sfruttate più o meno abilmente.

Se film come Gigolò di David Hemmings (1978) e Miriam si sveglia di mezzanotte di Tony Scott (1983, autore di Una vita al massimo), sfruttano semplicemente la sua ambiguità sessuale e la sua immagine di rock star, un autore del calibro di Nagisa Oshima in Furyo (1983) riesce a farlo esplodere come grande attore drammatico affidandogli il ruolo del Maggiore Jack “Strafer” Cellier, prigioniero in un campo di concentramento giapponese il cui fascino e carisma evocano l’omossessualità latente del comandante del Lager, interpretato dalla rock star giapponese Ryuichi Sakamoto, regalandoci una delle più convincenti interpretazioni di Bowie.

Dopo i ruoli in Tutto in una notte di John Landis ( 1985) e Absolute Beginners di Julien Temple (1986) viene usato per la carica fantastica della sua immagine in Labirinth – Dove tutto è possibile di Jim Henson (1986) dove interpreta Jereth, il re dei Goblin e firma la colonna sonora originale. L’incontro con un regista-artista dai mille volti come David Lynch sembra quasi naturale: Lynch vuole Bowie nei panni dell’agente FBI Phillip Jeffries in Twin Peaks – Fuoco cammina con me (1992), il prequel della famosa Serie TV.  Altri ruoli rilevanti: nei panni di sé stesso in Christiane F: Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (1981) e in Zoolander di Ben Stiller (2001), in quelli di Andy Wahrol in Basquiat di Julian Schnabel (1996) ed nel ruolo di Nikola Tesla in The Prestige di Christopher Nolan, lo scienziato che, grazie ai suoi studi sulla corrente elettrica e ai finanziamenti dell’illusionista Angier (Hugh Jackman), costruirà un macchinario in grado di produrre cloni.

Ma a noi, concedetecelo, risulta significante e bizzarra anche la partecipazione straordinaria di David Bowie alla commedia con Leonardo Pieraccioni e Alessia Marcuzzi (ma anche Harvey Keitel e Sandrine Holt) Il mio West (1998), scritta e diretta da Giovanni Veronesi,  nel ruolo dello spietato killer Jack Sinora. Il regista toscano ha raccontato ieri a Rai News 24: “Bowie parlava sempre della morte per esorcizzarla e nelle pause del film in Garfagnana parlava sempre della morte. Diceva che aveva fatto il mio film perché il suo personaggio sarebbe morto, in tutti i film che aveva fatto era sempre morto… era una fissazione per lui.”

A noi invece piace pensare che David Bowie sia venuto in Toscana a girare Il mio West perché gli piaceva la vita, i nostri bei paesaggi (ed il matrimonio a Firenze con Imam lo conferma), ed il buon vino. E alziamo un calice virtuale pensando a lui.

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