“Con il succedersi dei miei film, mi sono reso conto che, effettivamente, il cinema si era impadronito completamente della mia esistenza. Penso che non si può essere un creatore se non si è completamente posseduti da qualcosa.” Francesco Rosi
Francesco Rosi è uno dei rari esempi di cineasta che è riuscito a coniugare alla perfezione impegno civile con le esigenze del racconto, il rigore dello sguardo con l’empatia verso il pubblico. Rosi ci ha lasciato un corpus di opere che costituiscono un’eredità fondamentale del nostro cinema e del nostro Paese, di cui ha raccontato con lucidità e coraggio storture e connivenze, senza perdere mai il piglio appassionato degli esordi.
Nato a Napoli il 15 Novembre 1922, Rosi aveva lasciato l’Università durante la guerra per cominciare a lavorare come illustratore di libri per l’infanzia. Dopo alcune esperienze come aiuto-regista a teatro e come attore, passa al cinema lavorando al fianco di Luchino Visconti per La terra trema e Senso, collabora a I vinti di Michelangelo Antonioni e Proibito di Mario Monicelli.
Nel 1958 passa dietro alla macchina da presa e dirige il suo primo lungometraggio, La sfida, resoconto in stile gangster movie delle fortune e disgrazie di un guappo napoletano, che anticipa già l’attenzione ai temi sociali che sarà protagonista di tutta la sua opera. Dirige I magliari (1959) con Alberto Sordi concentrandosi sul fenomeno dell’emigrazione in Germania, mentre con Salvatore Giuliano costruisce un’attenta analisi del potere mafioso collegato a quello politico ritraendo con stile inedito le vicende di un bandito diventato una leggenda popolare. Il discorso si fa ancora più compiuto nel suo capolavoro, Le mani sulla città, vera e propria indagine sul tema della corruzione in seno alle istituzioni, dove racconta e denuncia la speculazione edilizia a Napoli negli anni ’60 tracciando un ritratto della città e del nostro Paese nitido, e purtroppo, ancora attuale.
Sul finire degli anni ’60 Rosi si allontana per qualche anno dal genere dell’inchiesta, dirigendo C’era una volta (1967) con Sophia Loren e Omar Sharif, incursione nel cinema fantastico dai toni più leggeri, mentre nel 1970 porta sullo schermo il romanzo Un anno sull’altopiano di Emilio Lussu con Uomini contro, vero e proprio manifesto contro la guerra che attira su di sé non poche critiche per la sua condanna dell’uso delle armi. Ma Rosi non si lascia intimorire, e prosegue con coraggio la sua indagine sulle vicende irrisolte del nostro Paese con Il caso Mattei, trionfo del film inchiesta che ricostruisce con minuzia la misteriosa morte di Enrico Mattei, presidente dell’ENI, ucciso in un attentato aereo il 27 Ottobre 1962, film con il quale vincerà la Palma d’Oro nel 1971 insieme a La classe operaia va in Paradiso di Elio Petri e che segna l’incontro con Gian Maria Volontè, che dirige anche nel successivo Lucky Luciano (1973).
Negli anni ’80 Rosi si apre al cinema internazionale scegliendo Philippe Noiret accanto a Michele Placido e Vittorio Mezzogiorno in Tre fratelli, liberamente tratto da Tretij Syn di Andrej Platonovic Platonov, per il quale vince un Nastro d’Argento per la Regia e un David di Donatello per la sceneggiatura, realizzata con l’amico Tonino Guerra. Medita già di portare sullo schermo il romanzo di Primo Levi La tregua, ma rinuncerà a causa del suicidio dello scrittore e realizzerà il progetto solo 10 anni dopo scegliendo come protagonista John Turturro e dirigendo il suo ultimo, bellissimo film, che gli porterà un altro David di Donatello come miglior regista. Nel 1984 si cimenta con il film-opera trasponendo sullo schermo Carmen dal testo di Georges Bizet on Placido Domingo, Julia Migenes e Ruggero Raimond mentre è del 1990 Dimenticare Palermo, con un cast eterogeneo composto da James Belushi, Mimi Rogers, Vittorio Gassman, Philippe Noiret e Giancarlo Giannini.
Negli ultimi anni Rosi era tornato al suo primo amore, il teatro, dirigendo alcune commedie di Eduardo De Filippo come Filumena Marturano, Napoli milionaria e Le voci di dentro, mentre riceverà nel 2012 il Leone d’Oro alla carriera, a coronamento di una vita divisa tra cinema e passione civile, anzi, unita egregiamente in questi due elementi.
Sul nostro sito grazie a Cinecittà Luce trovate Citizen Rosi di Didi Gnocchi e Carolina Rosi, un documentario che racconta la storia di un regista che ha costretto a riflettere intere generazioni, inventando un nuovo stile narrativo per un cinema che prima di lui non esisteva.