Fu lo stesso Pier Paolo Pasolini a specificare, per evitare qualsiasi possibilità di fraintendimento, il messaggio prettamente politico che voleva lanciare con Porcile, presentato senza di lui (in polemica con la manifestazione dall’anno precedente “tra il pubblico non ci saranno solo i porci di cui parla il film”) alla Mostra del Cinema di Venezia del 1969: “La società – ogni società – divora sia i figli disobbedienti che i figli né disobbedienti né obbedienti: i figli devono essere obbedienti e basta”.
Un film senza dubbio rivoluzionario, duro, profetico, coerente al percorso artistico del poeta, scrittore, giornalista, regista Pasolini ( evidenti i richiami, anche ambientali – vedi la scena finale di Girotti nel deserto – al suo precedente capolavoro, Teorema), che venne capito poco e poco amato, sia dal pubblico che dalla critica.
Restaurato con una cura maniacale dalla Cineteca di Bologna (L’immagine Ritrovata) in collaborazione con Medusa e Movietime, Porcile, fino ad ora introvabile, risplende nell’edizione Mustang Entertainment in dvd e Blu-ray distribuita da CG Entertainment, e ha l’opportunità di essere rivisto e ridiscusso, inquadrato nel percorso esemplare di quello che può tranquillamente essere definito uno dei grandi pensatori del nostro tempo.
Come racconta Roberto Chiesi (presidente dell’Archivio Studi Pier Paolo Pasolini della Cineteca di Bologna) nell’intervista presente negli extra dell’edizione home video, Pasolini interpola attraverso il montaggio due storie: un soggetto scritto per il cinema, ambientato in un passato indefinito alle pendici dell’Etna, il cui protagonista è un giovane (Pierre Clementi) che vive contro la società praticando il cannibalismo ed un’opera scritta precedentemente per il teatro che ha come protagonista Julian (Jean-Pierre Léaud) delfino indifferente dell’impero costruito dal padre, il signor Klotz (Alberto Lionello) nella Germania post nazista.
Per la complessa parte del magnate del capitalismo Klotz Pasolini aveva pensato inizialmente ad Orson Welles ed in maniera ancora più strutturata (una lettera lo testimonia) a Jacques Tati, che non accettò quello che sarebbe stato il primo ruolo molto parlato della sua carriera ( la parte di Clementi ambientata nel passato, per contro, è praticamente un film muto, salvo la frase finale (ed epifanica) pronunciata dal protagonista.
In un film che ricorda molto Jean-Luc Godard per antitesi (soprattutto la parte ambientata in Germania, in realtà girata presso la Villa Pisani a Stra, Venezia) Pasolini trasferisce attori cari al regista francese come Léaud e Anne Wiazemsky (già presente in Teorema, invero) e dirige un eccezionale Ugo Tognazzi nel ruolo dell’ex nazista Herdhitze, che ha ricordato con entusiasmo il suo lavoro con Pasolini, salvo ammettere di aver avuto delle difficoltà a capirne le intenzioni.
Vedere oggi Porcile vuol dire rendersi conto quanto Pier Paolo Pasolini, ancora una volta, era in anticipo con i tempi. Nel 1969, quando lo stesso Godard praticava il cinema marxista con il Gruppo Dziga Vertov, ed il movimento studentesco mondiale si convinceva di poter cambiare il mondo secondo nuovi, freschi ideali Pasolini getta le armi, dichiara di non credere nella dialettica ma solo alle opposizioni insuperabili e si rifugia in quel che rimane della poesia del cinema facendo un film a tesi dove enuncia in ogni fotogramma che i salotti intellettuali risuonano a vuoto, l’unico significato è nella barbarie: “Ho ucciso mio padre, ho mangiato carne umana, tremo di gioia.” Comprensibile come non fosse in linea con il periodo storico in cui uscì.
Ecco per voi due clip esclusive: