- La Germania di Adenauer è in pieno boom economico.
I giovani ignorano cosa significhi Auschwitz o ne hanno solo un’idea confusa.
Gli adulti preferiscono non pensarci, tantomeno parlarne.
I vertici della politica preferirebbero chiudere una volta per tutte un capitolo storico pericoloso.
Il processo di Norimberga, voluto dagli Alleati alla fine della Seconda guerra mondiale, aveva portato alla condanna di più di 150 nazisti. Ma non si era mai celebrato un processo all’interno della Germania focalizzato sulle atrocità commesse ad Auschwitz.
Il labirinto del silenzio muove da questa cornice storica, mescolando figure realmente esistite (il Procuratore generale Fritz Bauer e il giornalista Thomas Gnielka) a personaggi di finzione come quello del protagonista, il giovane Pubblico Ministero Johann Radmann, una sorta di condensato di tre pubblici ministeri che condussero realmente le indagini all’epoca. Nel plot del film accade che Radmann assista a un gran trambusto causato da Gnielka in tribunale: il giornalista denuncia lo scandalo di un ex guardiano di stanza ad Auschwitz che lavorerebbe impunemente come docente in un ginnasio della città. È stato riconosciuto da un suo amico ebreo, deportato nel campo di concentramento.
Contro il volere del suo diretto superiore, Radmann inizia ad esaminare il caso, imbattendosi in un clima generale di omertà e negazione. Solamente il Pubblico Ministero Generale, Fritz Bauer, incoraggia la curiosità di Radmann; lui stesso, da tutta la vita, spera di riportare all’attenzione pubblica gli orrori perpetrati nel lager, ma gli mancano i mezzi legali per un’azione penale. Quando Radmann e Gnielka trovano alcuni documenti che riconducono ai colpevoli, nazisti di vario grado della gerarchia militare, Bauer si rende conto di quanto siano esplosivi, e affida ufficialmente il caso a Radmann che raccoglie innumerevoli testimonianze dei superstiti, setaccia archivi, rinviene prove incontrovertibili dei crimini commessi, ma soprattutto dell’efferatezza con cui sono stati commessi. Dimostrando come si tratti spesso di una crudeltà che esula dalla mera osservanza degli ordini ricevuti dall’alto.
La sceneggiatura si fonda su una ricerca storica lunga e accurata e sulle dichiarazioni dei testimoni raccolte nelle carte processuali (non a caso Suso Cecchi D’Amico raccontava di aver attinto agli atti giurisprudenziali durante la stesura della sceneggiatura di Salvatore Giuliano di Francesco Rosi). Il film, che si vede tutto d’un fiato, è dunque ricco di dettagli – dolorosamente – precisi e pone interrogativi morali molteplici e complessi che ruotano sempre attorno ai concetti di verità e giustizia.
Un film di Giulio Ricciarelli
Con Alexander Fehling, André Szymanski, Friederike Becht, Gert Voss.
Germania, 2014.
Consigliato a partire dalle scuole secondarie di primo grado.
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