Quando anni fa chiesero a Wim Wenders cos’era per lui il Paradiso, il regista de Il cielo sopra Berlino rispose senza esitazione: “La cosa più simile al Paradiso che abbia mai incontrato è il cinema di Ozu”. Ma questa è soltanto una delle tante attestazioni di ammirazione che il cinema di questo giapponese quieto, abitudinario, che ha passato l’intera sua esistenza al fianco della madre senza mai sposarsi e lavorando per la stessa casa di produzione, la Shochiku, si è meritato e continua ancora oggi a meritarsi. “Il più giapponese dei registi giapponesi”, lo definiscono in patria, dove fin dagli inizi della sua carriera, quando da aiuto – operatore e poi autore di gag stile slapstick sotto la guida del regista Ōkubo Tadamoto, è passato alla sua prima sceneggiatura e al suo primo film, La spada della penitenza (unico film storico della sua carriera, andato perduto), si è conquistato il plauso di pubblico e critica. I primi anni di lavoro hanno prodotto, come succedeva allora in Giappone a tutti i giovani registi, un gran numero di film (19 dal 1927 al 1930, su un totale di 54 alla fine della sua carriera), e mostrano una grande influenza da quel cinema hollywoodiano che un Ozu ancora ragazzino si rifugiava a vedere nei cinema di periferia, preferendo alle lezioni tradizionali le suggestioni affascinanti che gli regalavano figure mitiche come Pearl White, Lilian Gish, Rex Ingram. Giorni di gioventù (1929), il suo primo lavoro oggi conservato per intero, richiama le comiche slapstick di Chaplin e Keaton narrando con leggerezza le disavventure di due studenti che corteggiano maldestramente la stessa ragazza.
Negli anni ’30, a soli 27 anni, Ozu è già un regista affermato che va delineando in maniera sempre più precisa il suo stile: una predilezione per gli shomingeki (film sulla gente comune) incentrati per lo più sul tema della famiglia, sul rapporto genitori – figli, (che sarà una costante di tutta la sua opera), con un’attenzione al contesto sociale di ristrettezze economiche e sacrifici che stava attraversando il Giappone in quel periodo. Nel 1937 la cesura: Ozu parte militare e va a combattere nella Cina occupata. Al suo ritorno, nel 1939, le cose sono molto cambiate: alla Shochiku non si respira più quel clima di libertà degli anni passati, le sceneggiature sono sottoposte a duri controlli, la necessità di celebrare la Nazione con devoto patriottismo si impone come tratto dominante. Ma anche di fronte a questi limiti Ozu riesce a ritagliarsi il suo spazio, realizzando due film che parte della critica ritiene i suoi due capolavori: Fratelli e sorelle della famiglia Toda (1941) e C’era un padre (1942). Nonostante ci siano evidenti tracce di una cultura di guerra da celebrare, lo stile del regista si fa sempre più riconoscibile ed insieme rarefatto, come se in qualche modo volesse tradurre in immagini l’austerità che il periodo imponeva. Lo wa, il concetto di armonia che pervade l’intera cultura classica giapponese, insieme all’aspetto centrale dell’estetica nipponica, il mono no aware, un sentimento di contemplazione assorta ed impassibile di fronte ai movimenti fluttuanti del destino e all’ineluttabilità del passare del tempo e delle stagioni, diventano i nuclei centrali della sua poetica, che si traduce in precise prese di posizione stilistiche: pochissimi movimenti di macchina, un’estremo pudore nell’uso del primo piano, l’insistenza tutta moderna sui tempi morti, e la posizione bassa della macchina da presa che fa sì, come scrive Dario Tomasi, che “ In Ozu tutto accade, come se accadesse su un palcoscenico.” Con al fianco lo sceneggiatore di fiducia, Kôgo Noda, Ozu si prepara nel dopoguerra a realizzare i suoi film più belli, fondamentali, 6 dei quali adesso abbiamo la possibilità di rivedere in versione restaurata 4K con la consulenza dell’aiuto-operatore del regista Kawamata Takashi e del suo produttore Yamanouchi Shizuo grazie all’impagabile lavoro di recupero voluto e realizzato da Tucker Film e dai suoi sostenitori.
Ma andiamo a scoprire questi titoli più da vicino:
Tarda primavera (1949)
Il professor Somiya, vedovo, vive con la figlia Noriko, una ragazza moderna, ma restia a costruirsi una propria vita sentimentale per non doversi allontanare dal padre, e condannarlo ad un’inevitabile solitudine. L’uomo, pur di vedere la figlia emanciparsi da lui, decide di fingere di volersi risposare…
Con i due attori che saranno fondamentali nell’ultimo periodo della carriera di Ozu, Ryu Chishu nei panni del padre e Hara Setsuko, in quelli della figlia, Ozu applicherà il suo definitivo metodo di direzione degli interpreti: sottrarre, anziché aggiungere. Scrive sempre Tomasi : “I volti devono apparire quasi come maschere del teatro Noh, dall’espressione predeterminata, e i corpi muoversi sullo schermo come quelli degli officianti di una cerimonia.”
Scrive invece Christian Viviani, su Positif “Che cosa domanda Ozu a Setsuko Hara? Un sorriso, radioso, che diventa pudico o imbarazzato quando gli occhi si abbassano. Questo è sufficiente al cineasta per fare di lei l’incarnazione di un ideale femminile che, nel corso di una dozzina d’anni, prenderà il viso di una figlia, poi quello di una madre, senza cambiare nulla nella sua gestualità e nella sua espressione”
Viaggio a Tokyo (1953)
Due anziani coniugi della città di Onomichi vanno per la prima volta a Tokyo, a visitare il figlio e la figlia che si sono trasferiti lì per lavoro. Ma una volta nella grande città, i genitori si accorgono che i figli sono troppo indaffarati per prendersi cura di loro, e cercano di sottrarsi alla loro compagnia mandandoli alle terme. Solo Noriko, vedova di un loro figlio morto in guerra, sembra felice di ospitarli e di portarli a visitare la città…
“E’ il mio film con dentro più melodramma.” diceva Ozu con una certa ironia. Di sicuro, è il suo film più famoso in Occidente ed amato all’estero ed in patria, quasi sempre incluso nelle più autorevoli classifiche dei migliori film della storia del cinema. Mostrando avvenimenti di grande ordinarietà e banalità con il suo stile gentile (così lo ha definito Abbas Kiarostami) Ozu riesce a toccare vette altissime di sentimentalismo e drammaticità, perché solleva problemi e tematiche universali: la separazione inevitabile tra genitori e figli, lo scarto tra generazioni, l’ineluttabilità della morte che induce all’oblio e la solitudine di chi resta.
Fiori d’equinozio (1958)
Il signor Hirayama, a parole, è progressista: non approva i matrimoni combinati. Ma quando sua figlia Setsuko decide di sposare Taniguchi senza il suo consenso, l’uomo ne è offeso. L’alleanza tra una giovane amica di famiglia, Yukiko, Setsuko e la madre, finirà per far capitolare Hirayama, che alla fine accetta il matrimonio, anche se annuncia che non vuole prendervi parte e che non vedrà più gli sposi…
Primo film a colori di Ozu ( che arriverà in ritardo a tutte le innovazioni tecnologiche, dal suono al colore, per eccesso di perfezionismo) dove il regista celebra attraverso l’uso della pellicola Agfacolor il tono vibrante del rosso , Fiori d’equinozio racconta la storia di Hirayama (Saburi Shin), un patriarca in declino, sopraffatto dalla complicità femminile. Dalle parole di Ozu, fine psicologo degli affetti familiari, riportate da David Bordwell: “Quando un altro uomo gli porta via la figlia, il padre è geloso e prova qualcosa di fisico e primitivo.”
Buon giorno (1959)
Commedia corale dove vengono seguiti vari accadimenti all’interno di un quartiere di periferia. Tra questi, il capriccio di due fratellini che si arrabbiano a morte con il padre perché non vuole comprare loro un televisore (ha sentito dire al bar che rende stupidi), finendo per fare prima lo sciopero della fame e poi quello del silenzio…
Uno dei pochi film di Ozu ad avere una dimensione collettiva, Buon giorno è tutto calibrato sul punto di vista dei bambini, a partire dall’attenzione verso i loro giochi, che introducono un tema non certo inusuale nella cultura giapponese, quello della scorreggia, celebrata in molti dipinti che descrivono gare di scorregge e in poesie senryu. Raccontando delle bizze dei fratelli Minoru e Isamu, Ozu ci parla qui dell’infanzia, che, come tutte le stagioni della vita, non ha una sola chiave di lettura. Scrive Donald Richie: “ Tutti i personaggi di Ozu devono costruirsi da soli il senso della loro esistenza. Così in Buon giorno né i bambini né gli adulti hanno interamente ragione. Nei film di Ozu raramente (se non mai) sperimentiamo la feroce gioia della certezza.”
Tardo autunno (1960)
Alla cerimonia per commemorare 7 anni dalla scomparsa del signor Miwa partecipano la vedova Akiko, sua figlia Ayako, il fratello di Miwa e tre vecchi amici dell’uomo, che si mettono in testa prima di sposare la figlia di Miwa, e poi di far risposare la vedova, di cui sono stati tutti innamorati in gioventù, con l’unico di loro ancora scapolo, Hirayama. I loro progetti inducono in Ayako e Akiko una serie di malintesi che finiscono per allontanarle, finché, per riconciliarsi, le due partono per Kyoto…
Come dimostra il titolo e la trama, il film sviluppa una serie di rimandi a Tarda primavera, ma con più leggerezza e disincanto. Il personaggio di Yuriko (Okada Mariko), amica di Ayako che aiuterà la ragazza a districare la tela messa in piedi dai tre vecchi amici, assomiglia, come ha notato Jean Michel Frodon, ad Audrey Hepburn nei film di Stanley Donen (Cenerentola a Parigi, Sciarada) o Blake Edwards (Colazione da Tiffany), avendo nella gestualità e nel tono di recitazione il riferimento, appunto leggero, tenue, della commedia musicale.
Il gusto del sakè (1962)
Il signor Hirayama, vedovo, pensa che sia ora che sua figlia Michiko si sposi e abbandoni lui e il figlio minore. Ma la ragazza, molto determinata e conservatrice, afferma di non potersi sposare perché il padre ed il fratello non ce la farebbero senza di lei. Intanto Hirayama passa le serate con alcuni vecchi amici e si strugge di nostalgia per la giovinezza perduta…
Si tratta del 54° e ultimo film di Ozu: durante la stesura della sceneggiatura, morì sua madre, con la quale aveva abitato tutta la vita. L’anno successivo, il giorno del suo stesso compleanno, morì anche il regista, stroncato da un cancro alla gola. Questo film, come tutti quelli del dopoguerra, declina in forma variata i temi di Tarda primavera, anche se il personaggio di Michiko (Iwashita Shima) è più moderno, duro, quasi feroce. Torna anche il trio di vecchi amici che si divide tra alcol e battute spiritose, sviluppando l’altro tema caro a Ozu del passare del tempo e della nostalgia della giovinezza, come quello della ineluttabile casualità dell’esistenza. Scrive Diane Arnaud: “In Ozu, una volta delineato il racconto in corso evoca un racconto alternativo che avrebbe potuto verificarsi se i personaggi si fossero messi sull’altro lato della strada o se avessero preso il treno passato prima […] L’alternativa immaginaria che proviene da ipotetici spostamenti spazio-temporali spicca, anzi, come una sorta di toccante malizia. Il gusto del sakè non prepara forse il terreno per No Smoking e Smoking di Alain Resnais?”
Tucker Film e CG Entertainment presentano i box dedicati ad Ozu: Yasujiro Ozu – Autunno e primavera Vol. 1 che contiene i dvd Tarda primavera, Viaggio a Tokyo e Fiori d’equinozio, Yasujiro Ozu – Autunno e primavera Vol. 2 che contiene: Buon giorno, Tardo autunno e Il gusto del sakè.