Un artigiano della settima arte, cesellatore certosino della luce e del buio, capace di plasmare e deformare l’immagine filmica a suo piacimento per ottenere determinati effetti: paura, disgusto, terrore, suspense, catarsi. Un innovatore sempre al passo con i tempi, che ha anticipato tendenze e definito filoni, svecchiato generi già esistenti, partorito degni eredi del suo genio. Mario Bava è stato questo e molto altro per il cinema italiano ed internazionale, anche se si è sempre definito un semplice “manovale” del mezzo, uno che ne sapeva utilizzare i trucchi, ma che non amava filosofeggiarci sopra. Pressoché ignorato dalla critica italiana dell’epoca, che lo riteneva solo un professionista nell’uso degli effetti speciali, è stato celebrato da quella francese, da sempre più attenta, ed è oggetto di una rivalutazione e celebrazione della sua opera da parte di un’intera generazione di cineasti, per lo più americani (vedi Joe Dante, Tim Burton, Quentin Tarantino) che continuano ad ispirarsi e a citare i suoi film nelle loro opere.
Nato a San Remo il 31 Luglio del 1914, Mario Bava deve la sua passione per il cinema al padre Eugenio, scenografo per la casa di produzione Pathé dal 1906, poi operatore e regista, infine direttore del reparto trucchi cinematografici all’Istituto Luce dal 1930. Studiò pittura e iniziò a lavorare come assistente del padre all’Istituto Luce occupandosi della sottotitolazione di alcune pellicole straniere e dei titoli di apertura e di coda. Dal 1939 divenne operatore cinematografico per registi come Roberto Rossellini, Dino Risi, Vittorio De Sica e Luciano Emmer, dal 1943 direttore della fotografia che si fece apprezzare per il sapiente uso del bianco e nero, per l’originalità nell’uso pittorico del colore e per l’invenzione di efficaci effetti speciali, tutte doti che lo fecero passare velocemente al ruolo di assistente alla regia per maestri come Jacques Tourneur e Riccardo Freda. E fu proprio con Freda che Bava ebbe l’occasione di partecipare al 1° horror italiano mai realizzato, I vampiri (1956), del quale diresse la fotografia ma non solo: Freda, infatti, abbandonò il set per incomprensioni con la produzione, e fu il giovane Bava a terminare le riprese (pur non essendo accreditato), oltre che a curare il montaggio e gli effetti speciali del film (celebre è divenuto l’invecchiamento di Gianna Maria Canale realizzato senza stacchi di montaggio grazie all’utilizzo di luci colorate e cerone).
Fino ad ora Bava aveva diretto a suo nome solo qualche cortometraggio e alcuni documentari: passò ufficialmente dietro la macchina da presa solo dopo aver sostituito Jacques Tourneur sul travagliato set di La battaglia di Maratona. Per sdebitarsi, infatti, i produttori della Galatea gli offrirono di dirigere un film a suo nome. Così nacque il 1° film horror gotico italiano, La maschera del demonio (1960), dove Bava dirige Barbara Steele, futura star del genere, in un adattamento dal racconto di Gogol’ dal titolo Il Vij influenzato dalla produzione inglese della Hammer e permeato di atmosfere morbose fino ad allora inedite per il cinema italiano.
Con Ercole al centro della terra (1961) Bava si cimenta con successo con il genere peplum fantastico, contaminato comunque con l’horror, con protagonista Christopher Lee e che ottenne un grande successo internazionale. Prosegue la sua incursione nel peplum con Gli invasori (1961), mentre passa al genere thriller puro con La ragazza che sapeva troppo (1963), vero e proprio capostipite di quel genere giallo che vedrà Dario Argento come uno dei suoi cultori. Il 1963 è l’anno dell’horror I tre volti della paura con Boris Karloff, il cui titolo originale Black Sabbath ha dato il nome ad una delle più importanti rock band della storia, e che contiene uno dei primi esempi mai realizzati di meta cinema. Alla fine del film, infatti, quando Boris Karloff è a cavallo, Bava ci mostra con uno zoom all’indietro il set del film, svelandone così la finzione.
Sei donne per l’assassino (1964), per il quale Bava avrà non pochi problemi con la censura, mescola sadismo, perversione e follia, e codifica definitivamente il thriller all’italiana portando per la prima volta sullo schermo un killer dal volto coperto. Dopo aver diretto il suo unico film fantascientifico, Terrore nello spazio (che si dice abbia ispirato anche l’Alien di Ridley Scott), è il momento di Operazione paura (1966), un horror gotico ricco di trovate visive. Bava sperimenta quindi il western con La strada per Fort Alamo (1965) e la commedia con Le spie vengono dal semifreddo (1966) con Franco e Ciccio. Dopo aver portato sullo schermo l’eroe dei fumetti della sorelle Giussani Diabolik (1967) torna al giallo con 5 bambole per la luna d’agosto con una poco più che esordiente Edwige Fenech, futura regina del cinema scollacciato e inaugura il filone comico del genere spaghetti western con Roy Colt e Winchester Jack (1970).
Avrà grande successo in America Reazione a catena (1971) che ha dato il via ad un altro genere, lo slasher movie (film horror con protagonista un omicida mascherato che uccide in modo cruento spesso con armi da taglio) e ispirerà la saga di Venerdì 13. Nel 1972 Bava dirige Gli orrori del castello di Norimberga e Lisa e il diavolo, che, a causa di molti problemi con la produzione, uscirà in una versione editata dal produttore Alfred Leone e rifiutata dal regista nel 1975 con il titolo La casa dell’esorcismo.
Con Cani arrabbiati del 1974 Mario Bava dirigerà quello che sarà considerato un vero e proprio CULT del genere thriller e un antesignano del genere PULP, un truculento road movie che non uscì a causa del fallimento della casa di produzione e vide la luce solamente nell’edizione dvd degli anni ’90.
Bava diresse il suo ultimo film per la tv, La Venere di Ille (1979) insieme al figlio Lamberto, che diventerà anche lui registi di thriller e horror di successo (Morirai a mezzanotte, The Torturer) e ha lasciato il suo testamento negli effetti speciali del film Inferno (1980) del suo erede prediletto, Dario Argento, spegnendosi poco dopo il 25 Aprile 1980, poco prima di iniziare le riprese del suo ritorno al film fantascientifico che si doveva intitolare Star Express.