La rassegna La forma del desiderio, che ripropone 5 film che fanno parte dei primi anni della carriera di Pedro Almodóvar, L’indiscreto fascino del peccato (1983), Che ho fatto io per meritare questo? (1984), La legge del desiderio (1987) Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988) e Tacchi a spillo (1991), rappresenta un’occasione imperdibile per immergersi nel momento in cui il cinema del regista spagnolo fuoriesce gradualmente dai circuiti off e underground della movida, il suo lavoro viene riconosciuto da pubblico e critica, ed il suo stile si va codificando sempre più come un vero e proprio brand d’autore.
Vediamo allora quali sono alcuni degli elementi che diventeranno parte dello stile di uno dei registi più importanti del cinema contemporaneo mondiale.
Madrid è la patria della Movida, fenomeno di costume nato in seguito alla morte di Franco nel 1975, sorto come reazione vitalissima e trasgressiva al vecchio spirito franchista di ortodossia cattolica e di censura. Almodóvar, nato e cresciuto in una famiglia di umili condizioni in un piccolo paese della Mancha, dopo aver frequentato un rigido istituto salesiano in Estremadura, si trasferisce a soli 18 anni a Madrid, città della quale si innamora perdutamente e dove inizia i suoi passi nel mondo dell’arte come sceneggiatore di fumetti, scrittore, attore teatrale, per poi approdare al cinema. Madrid diventerà la patria di una seconda rinascita, oltre al set privilegiato di tutta la sua filmografia, anche perché egli sembra trovare nella città la linfa vitale del suo stesso cinema. Dice Almodovar di Madrid:
“Madrid è una città vecchia ed esperta, ma piena di vita. Questo degrado, il cui restauro sembra interminabile, rappresenta la voglia di vivere della città. E dei miei personaggi. Madrid è una città stravissuta cui non basta avere un passato, perché il futuro continua ad entusiasmarla.”
Se, ad esempio, Che ho fatto io per meritare questo? , uno dei suoi pochi film dove è presente uno sguardo di denuncia sociale, Almodóvar ci mostra una Madrid degradata, concentrandosi su un quartiere popolare affacciato sulla tangenziale, Concepcion, ne La legge del desiderio e in Donne sull’orlo di una crisi di nervi Madrid diventa la protagonista incontrastata, l’emblema caldo, anche sudato e passionale, di quella movida pop che inizia ad essere il marchio di fabbrica del regista. E in Tacchi a spillo Madrid è, come l’oggetto d’amore della protagonista, Victoria Abril, una vera e propria ossessione nella quale si rimane intrappolati, dove anche chi sogna di fuggire e ci prova finirà per tornare. Madrid, nel 1991, è oramai parte di un DNA emotivo ed esistenziale del regista e del suo cinema.
Il secondo elemento del nascente brand Almodóvar è la sua ossessione e attenzione maniacale per la disposizione nei set dei suoi film di oggetti, pezzi di arredamento e design, vestiti alla moda che invadono e colorano i suoi film e sono l’espressione vitalissima di una cultura camp e pop tipica della movida madrilena e del sottobosco culturale in cui l’artista è cresciuto. Oggetti, vestiti, ed elementi di arredo diventano essi stessi veri e propri personaggi. Egli ha affermato di servirsi degli oggetti come “appoggio” per caratterizzare psicologicamente i suoi personaggi, e che questo suo feticismo e cura per gli oggetti, gli addobbi, gli allestimenti, potrebbe provenire dalla sua educazione cattolica, in quanto in Spagna la religione è vissuta in maniera molto cerimoniale, ornamentale, teatrale. Il lavoro che egli fa con gli oggetti e anche l’uso del colore, una tonalità dominante che spesso emerge su tutto, è enorme, come confermano tutti i suoi collaboratori. La sua reference principale sembra essere lo sgargiante cinema in technicolor degli anni ’50, ad esempio racconta il fotografo di scena che per Donne sull’orlo di una crisi di nervi il modello a cui faceva riferimento erano i film di Stanley Donen ed in particolare Funny Face.
Alcuni oggetti diventano dei veri e propri simboli del nucleo emotivo e narrativo del film, tramite oppure ostacolo verso il raggiungimento del vero “oggetto” del desiderio, l’amato; oppure indizi per le trame gialle che attraversano alcuni film. Ad esempio agli abiti confezionati da Suor Vipera insieme al parroco, e regalati e fatti indossare a Jolanda (Cristina Sánchez Pascual) dalla madre superiora (Julieta Serano) ne L’indiscreto fascino del peccato, quelli sniffati (la colla, i detersivi) o desiderati (l’arricciacapelli, che la guarda dalla vetrina di un negozio) da Gloria (Carmen Maura) in Che ho fatto io per meritare questo?; la macchina da scrivere, arma ed insieme schermo che impedisce a Pablo (Eusebio Poncelo) ne La legge del desiderio di vivere in maniera diretta e libera i propri sentimenti, oppure la camicia iper colorata copiata da Antonio (un giovanissimo Banderas) all’amato Pablo e che diventerà l’indizio di un omicidio; il telefono rosso in Donne sull’orlo di una crisi di nervi, più volte staccato e rotto, infine anche gettato dalla finestra, e, in Tacchi a spillo, la casa ed i mobili usati dal marito della protagonista Rebecca/Vittoria Abril oppure gli stessi tacchi, intesi nel senso del titolo originale, Tacones lejanos / Tacchi lontani, simbolo dell’amore mai pago di una figlia nei confronti della madre, e viceversa. In questo film il colore dominante è il rosso, colore principe della passione, dell’amore, qui a simboleggiare quella più potente, sanguigna, vitale, a volte contrastata: l’amore tra una madre ed una figlia.
Il terzo elemento attraverso il quale si va codificando attraverso questi 5 film il brand Almodóvar è il rapporto tra cinema e vita, che si esplicita a vari livelli. Il primo tra questi è l’incursione del processo di creazione artistica che invade la struttura e la narrazione dei suoi film. Un primo segnale lo troviamo nella prima inquadratura di Cosa ho fatto io per meritare questo? in cui vediamo Carmen Maura attraversare una piazzetta di Madrid inseguita da un microfono di una troupe che sta girando un film: un elemento straniante che ci invita a chiederci se siamo già dentro la finzione o dobbiamo ancora entrarci. Ne La legge del desiderio possiamo facilmente vedere nel protagonista, il regista Pablo, un alter ego di Almodóvar, e basterebbe il folgorante e scandaloso inizio del film a dirci che stiamo assistendo ad una vera e propria metafora del modo in cui la ripresa cinematografica si sostituisce a quella dell’atto sessuale ed amoroso. In Donne sull’orlo di una crisi di nervi, il mestiere di doppiatrice della protagonista e del suo amante traditore è un elemento dell’inganno: le parole d’amore che dice per lavoro Iván le ripete meccanicamente a tutte le donne che seduce, mentre il telefono di cui parlavamo prima con il quale la protagonista cerca di raggiungere il suo amante è prelevato dal testo La voce umana di Cocteau che veniva messo in scena da Pablo ne La legge del desiderio, creando anche qui un corto-circuito meta-testuale. Così anche gli annunci in diretta in Tacchi a spillo, replicati in maniera grottesca dal linguaggio dei segni, sembrano funzionare da detonatori per le scene madri del film, quello di impianto più classicamente melodrammatico.
Ma il cinema nei film di Almodóvar, proprio in virtù della sua natura post moderna e pop, vuol dire anche omaggio e citazione a quello che più ha amato e lo ha ispirato, oltre ad un gioco di rimandi e stilizzazione di alcuni generi cinematografici. Gli unici maestri che Almodóvar abbia mai riconosciuto sono quelli del cinema underground americano, registi come John Waters, Morrisey, Russ Mayer, e, in Spagna, il mito, Luis Buñuel, ed il primo Luis García-Berlanga. Ma le sue ispirazioni non finiscono qui. In Cosa ho fatto io per meritare questo? ammette di aver voluto in qualche modo omaggiare il cinema neorealista italiano, sostituendo però gran parte degli elementi melodrammatici con l’humour nero (secondo uno stile che ricorda un po’ il primo Ferreri, ma anche un po’ lo Scola di Brutti, sporchi e cattivi). Se già in Matador, il suo film precedente, Almodovar aveva mescolato i toni del mèlo con quelli del noir, questa formula raggiunge la sua forma più compiuta ne La legge del desiderio. Con Donne sull’orlo di una crisi di nervi voleva fare una commedia in senso più tradizionale, alla Billy Wilder, regista che adora. In questo film, infatti, a differenza dei precedenti, non abbondano sesso, droga ed eccessi, motivo per cui questa pellicola gli ha aperto la strada al pubblico e ai riconoscimenti internazionali. Con Tacchi a spillo a dominare è il genere del melodramma, sia nella sua forma classica hollywoodian, che ad esempio nella versione alla Ingmar Bergman (Sinfonia d’autunno è citato esplicitamente) ma del melodramma è sempre una versione ibrida, spuria, perché come ha detto Almodovar: “Io amo i grandi melodrammi, ma non posso davvero fare un grande melodramma, perché il mio punto di vista è amorale”. In realtà con il titolo originale, Tacchi lontani egli voleva omaggiare un film di Anthony Mann, un western, Tamburi lontani. Il western, infatti, è un genere che ama tantissimo, ma che dice di non avere il background per poter affrontare direttamente, anche se gli piace pensare che in Tacchi a spillo si senta qualche eco di un western al femminile quale era Jhonny Guitar di Nicholas Ray (già omaggiato direttamente in Donne sull’orlo di una crisi di nervi, in una scena in cui Pepa e Ivan doppiano i protagonisti del film) e che il rapporto tra madre e figlia nel film possa essere visto come una sorta di duello western.
“Non siamo che due gemiti della stessa canzone.” Canzone del film Carne Tremula (Alberto Iglesias)
Se, nonostante la sua tensione continua verso il melodramma, il cinema di Almodóvar non si può definire squisitamente melodrammatico, di sicuro si può applicare ad esso la definizione letterale della parola melodramma, e cioè dramma messo in musica. La musica, ed in particolare le canzoni popolari, spagnole ma non solo, sono un altro tramite del desiderio e della passione che guida i protagonisti dei suoi film, il linguaggio attraverso il quale si parlano. Ne L’indiscreto fascino del peccato Iolanda è una cantante, ed il suo rapporto platonico con la madre superiora, la tensione del desiderio tra di loro, si esplicita tutta attraverso la musica. Ne La legge del desiderio l’ingresso ufficiale nel melodramma passionale avviene a passo di canzone, dalla popolarissima e a noi ben conosciuta Guarda che luna di Fred Buscaglione, alla più dolente e sofisticata Ne me quitte pas di Maysa Matarazzo cantata dalla figlia adottiva di Tina, la trans interpretata da Carmen Maura, durante la rappresentazione teatrale de La voce umana di Cocteau. Ma è con con Tacchi a spillo che la musica diventa vero e proprio linguaggio dell’amore, bramato, negato, infine urlato dolorosamente, sia attraverso le performance en travesti di Miguel Bosè nei panni della cabarettista Letal (indimenticabile la sua versione di Un ano de amor di Luz Casal) che in quelle della sua musa ispiratrice, la madre cattiva e poi buona Becky del Páramo, interpretata da una meravigliosa Marisa Paredes.
DESIDERIO
Tutti gli elementi di cui abbiamo parlato fino ad adesso non solo altro che strumenti di cui Almodovar si serve nei suoi film per veicolare il tema che più ha a cuore, che è quello del DESIDERIO. Desiderio inteso non solo in senso sessuale, erotico, anche se è innegabile la carica sensuale e liberatoria che attraversa tutta la sua filmografia, ma desiderio inteso soprattutto come bisogno di amore: è questo il tema cardine del suo universo poetico. E questo non si può raccontare o analizzare criticamente, basta vedere i suoi film per coglierlo nel profondo, perché è l’essenza stessa della sua cinematografia. Ma, come in ogni melodramma, o fotoromanzo, o telenovela, o romanzo d’appendice che si rispetti, e come succede spesso nella vita, il desiderio, anche nel suo cinema, è sempre la tensione verso qualcosa che deve essere faticosamente conquistato, per cui si lotta, e talvolta, si viene sconfitti. Come ha detto egli stesso, però, “Alla passione si paga sempre un prezzo. Ma credo che ne valga la pena.”